La Corte di Cassazione con una recentissima ordinanza n. 207/2019 ha ribadito che in caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione in CRIF il danno sia patrimoniale che non patrimoniale non può essere considerato in re ipsa; incombe in capo all’attore l’onere di provare i presunti pregiudizi subiti dei quali chiede il risarcimento.
Il Supremo Consesso ha affermato sul punto che il danneggiato deve fornire la prova circa la ricorrenza del danno emergente e del lucro cessante (nel caso di specie si è rilevata una completa carenza probatoria).
II Giudici di ultima istanza hanno confermato la decisione del Giudice di merito, il quale aveva liquidato in via equitativa il danno non patrimoniale nella misura di Euro 6.000,00 in virtù di una concreta applicazione dei principi condivisibili secondo cui “il danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell’art. 15 del codice della privacy, pur determinato da una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato dagli artt. 2 e 21 Cost. e dall’art. 8 CEDU, non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno (quale perdita di natura personale effettivamente patita dall’interessato) in quanto anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex art. 2 Cost., di cui il principio di tolleranza della lesione minima è intrinseco precipitato, sicché determina una lesione ingiustificabile del diritto non la mera violazione delle prescrizioni poste dall’art. 11 del medesimo codice ma solo quella che ne offenda in modo sensibile la sua portata effettiva”.
Pertanto, l’illegittimità della segnalazione non genera di per sé un pregiudizio risarcibile.